I pericoli di un carattere collerico (370-376) - Ep. 13 (1)
Nello scorso episodio abbiamo visto i fratelli Valente e Valentiniano all'opera: come avrete notato il loro governo congiunto fu nel complesso un successo. Ognuno si occupò dei problemi alle frontiere della sua metà dell'Impero e – per la prima volta da chissà quanti anni – i due fratelli non si fecero guerra. Anzi, sembra che i due andassero genuinamente d'accordo con Valente nel ruolo di deferente fratello minore. Nonostante questo Valente era comunque capacissimo – come abbiamo visto con i Goti – di prendere le sue decisioni in autonomia.
Oggi ci concentreremo sul fratello maggiore: il suo regno è infatti l'ultimo regno di un imperatore energico e determinato in occidente e può servire per illustrare cosa fosse l'Impero Romano ancora nella pienezza delle sue forze, come decisamente ancora era sotto Valentiniano. Inoltre useremo il suo regno come una opportunità per analizzare i punti di forza e di debolezza dell'impero e cercare di capire in che stato fosse poco prima dello scatenarsi di una tempesta terribile che lo scuoterà nelle sue fondamenta. Quello che faremo oggi è questo dunque: scrutare il cielo e osservare l'accumularsi delle nubi della tempesta.
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Rovine di Leptis Magna
Prima di parlarvi di quello che fece Valentiniano negli anni 70' del quarto secolo vorrei raccontarvi una storia esemplare di malgoverno che proviene da una delle province più tranquille dell'impero, ovvero l'Africa settentrionale. Ci servirà per capire meglio cosa volesse davvero dire amministrare un impero delle dimensioni di quello Romano, o almeno cercare di farlo.
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Dobbiamo tornare al 363 dopo cristo. A capo dell'Africa c'era il Comes Africae, nel nostro caso un certo Romano, un ufficiale che come quasi tutti gli alti ufficiali romani utilizzava la sua posizione per arricchirsi. Come abbiamo visto la corruzione era una caratteristica endemica dello stato romano in ogni sua epoca, non ne aveva impedito l'ascesa né ne causò la caduta. Romano fu chiamato in causa dai cittadini di Leptis Magna, i quali avevano avuto problemi con i Berberi che vivevano nei dintorni. Pare che a loro volta i berberi avessero legittimi motivi per arrabbiarsi, ma non complichiamo troppo la faccenda. Sta di fatto che Romano marciò con le sue truppe verso Leptis Magna – oggi un favoloso sito archeologico in Libia. Qui chiese agli onesti cittadini di Leptis Magna, a mo' di ricatto, di “pagare” una protezione all'esercito se volevano…. bè, essere protetti. I cittadini avrebbero dovuto trovare ben quattromila cammelli e relativo foraggio. I cittadini di Leptis non si erano rassegnati all'estorsione e Romano aveva fatto dietrofront, lasciando Leptis indifesa.
Nel 364 i grandi possidenti dell'Africa si erano riuniti nell'annuale concilio che si teneva nelle principali aree dell'impero: questa era l'occasione per dibattere temi relativi all'amministrazione delle province africane e inviare petizioni all'imperatore. I cittadini avevano inviato una petizione a Valentiniano per denunciare il comportamento di Romano. Questi aveva fatto avere la sua versione dei fatti tramite un Carneade che lavorava per l'imperatore: si trattava di un alto burocrate imperiale suo parente. Valentiniano, sedendo a Trier a migliaia di chilometri di distanza, non aveva ovviamente nessuna idea su chi avesse ragione ma da sovrano coscienzioso aveva deciso di inviare una missione in Africa per indagare sulla faccenda: a capo fu messo un certo Palladio.
Una volta in Africa Palladio e Romano si erano messi d'accordo: Palladio aveva trattenuto nelle sue tasche parte della paga delle truppe africane che era venuta con lui e Romano aveva deciso di chiudere un occhio in cambio di un aiutino nell'indagine sulle sue malefatte. Palladio era tornato a Trier e aveva detto all'imperatore che i cittadini di Leptis non avevano proprio nulla di cui lamentarsi, Romano era un ufficiale di specchiata qualità. Valentiniano non l'aveva presa bene e aveva perfino fatto giustiziare un paio di cittadini illustri di Leptis, così che imparassero a non disturbarlo senza motivo. La storia di Palladio e Romano pare presa di peso da una qualsiasi tangentopoli italiana.
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Tutta questa storia sarebbe rimasta probabilmente nascosta: Palladio e Romano avevano compiuto il delitto quasi perfetto. Peccato che anni dopo sbarcò in Africa l'infaticabile Conte Teodosio, inviato di nuovo in missione da Valentiniano dopo il successo in Britannia. Il factotum di Valentiniano era arrivato in Africa nel 373 perché Romano, 10 anni dopo i fatti di Leptis, ne aveva combinata un'altra delle sue. Romano aveva deciso di farsi nemico quello che era il capo dei Berberi della provincia, la popolazione che allora come oggi forma la base della popolazione del Nordafrica. Questo Berbero era un certo Firmo, allo stesso tempo un prominente cittadino romano e il capo della sua tribù. Firmo era stato talmente perseguitato da Romano che aveva deciso di ribellarsi al governo centrale.
Teodosio era sbarcato in africa per spegnere la ribellione e tra i primi atti aveva destituito Romano, che aveva perso chiaramente la fiducia dell'imperatore. Tra le carte di Romano, incredibilmente, Teodosio trovò una lettera di Palladio che da Trier scriveva a Romano. Ecco cosa diceva: “Palladio ti saluta e ti manda a dire di essere stato sollevato dall'incarico solo perché ha osato dire bugie alle orecchie dell'imperatore nell'affare di Leptis,”. Palladio era stato destituito e cercava aiuto da Romano, il suo vecchio compagno di merende. La sua lettera però fu il mezzo per inchiodarlo: aveva mentito all'imperatore, un crimine equiparato all'alto tradimento. Teodosio fece avere la missiva a Valentiniano che fece prelevare Palladio dalla sua villa. Palladio, a dieci anni dal fattaccio, si suicidò.
Vi racconto questa storia perché è simbolica della difficoltà di amministrare con le tecnologie e i mezzi del mondo antico un impero delle dimensioni di quello Romano che si estendeva su un territorio più vasto della moderna Unione Europea. Già oggi, guardando una carta dell'impero, questi ci sembra immenso, paragonabile ad alcuni degli stati moderni più grandi. Ma dobbiamo capire che con i tempi di percorrenza del mondo antico l'impero era un posto dalle dimensioni perfino prodigiose. Chi poteva permetterselo poteva viaggiare per mesi e mesi senza mai uscirne dai confini. L'amministrazione imperiale, date le immense distanze, poteva agire solo in perpetuo ritardo sulle notizie e in base alle poche informazioni che riceveva. Nel caso del leptisgate c'erano state due versioni diverse della stessa storia e l'imperatore – che viveva nella lontanissima Gallia – non aveva potuto fare altro che inviare un suo rappresentante ad indagare: era bastato che questi si facesse corrompere perché l'imperatore avesse gli occhi ciechi. L'imperatore e la burocrazia centrale sostanzialmente potevano prendere decisioni efficaci solo quando le sedi locali lo informavano in modo veritiero. Ora moltiplicate questo problema per ogni angolo dell'impero e potrete comprendere i limiti della governance imperiale.
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Quel che possiamo intuire da questo quadro è che l'impero e la burocrazia centrale si dovevano accontentare di alcune funzioni basiche: sostanzialmente organizzare l'esercito e la difesa delle frontiere. Oltre alla difesa lo stato si occupava dell'organizzazione fiscale, ovvero di raccogliere le tasse che sarebbero poi servite a pagare l'esercito, la burocrazia imperiale e un numero ristrettissimo di servizi pubblici come il mantenimento delle strade e del cursus publicus, il sistema di posta imperiale. Pur avendo un'ideologia che portava l'impero a desiderare un controllo minuzioso del territorio, l'imperatore e la burocrazia imperiale lasciavano praticamente tutto il resto ai locali. I provinciali si autogovernavano, anche grazie ai consigli regionali di cui vi ho parlato sopra, il più potente dei quali era quello delle Gallie. A livello più basso le città eleggevano i loro magistrati e avevano una classe di governo – i curiali – che si occupavano del mantenimento dei servizi pubblici locali, come spettacoli, terme, edilizia pubblica. Insomma, l'Impero Romano era un posto molto più libero e con molto più laissez faire che il termine “impero” sottintenda, anche se più per necessità che per disegno. A parte il potere di eleggere la massima carica dello stato da parte di una ristrettissima cricca di ricchissimi senatori non c'erano molte libertà in meno rispetto ai tempi della Repubblica.
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Ricostruzione di una fortezza romana del quarto secolo (contra-aquincum)
Se ricordate abbiamo lasciato Valentiniano oltre Reno: l'imperatore aveva inflitto una terribile sconfitta agli Alemanni a Solicinium, nel sud della Germania.
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Valentiniano, ritornato in Gallia nella sua capitale Trier, decise che era giunto il momento di porre fine alle scorrerie dei Germani che si ripresentavano ogni volta che il governo di Roma era distratto da una delle ricorrenti guerre civili. Il limes era tornato saldo ma Valentiniano voleva assicurarsi che lo rimanesse anche in futuro. Diede quindi ordine di costruire nuove fortezze e torri di avvistamento dalle Alpi al mare del nord, lungo l'intero corso della frontiera Renana che era quella che più aveva dato problemi di recente. Valentiniano era talmente sicuro di aver sottomesso e ridotto a miti consigli i Germani che fece costruire fortezze anche sul lato germanico del Reno, in modo da avere facile appoggio in caso di invasione delle terre d'oltre Reno e in modo da controllarne i movimenti. Una di queste fortezze era in costruzione nel pieno del territorio Alemannico, in una località che è stata identificata con la moderna Heidelberg, dove sorgono oggi le rovine di uno dei più impressionanti castelli della Germania. I Romani erano intenti ai lavori di fortificazione quando si presentò un'ambasciata di nobili Alemanni, con i quali era stata da poco siglata la pace in seguito alla battaglia di Solicinium. Questi fecero presente che si trattava di una invasione bella e buona del loro territorio. Dice Marcellino “Supplicavano i Romani a non trascurare la propria sicurezza e a non lasciarsi trarre in inganno da un malvagio errore. Li esortavano a non calpestare i patti e a non intraprendere un'opera indegna”. Tradotto: Romani: state rompendo il patto che abbiamo siglato, non abbiamo intenzione di farvi del male ma andatevene o saranno guai.
Il comandante romano aveva però degli ordini e non si fece spaventare. Peccato che una volta che l'ambasceria degli Alemanni fallì scattò la trappola che gli Alemanni probabilmente volevano evitare di far scattare: dal bosco uscirono migliaia di soldati che fecero a pezzi gli incauti Romani, e una guerra che era terminata iniziò di nuovo a causa del comportamento poco diplomatico di Valentiniano: questi aveva forzato gli Alemanni a difendere il loro onore.
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Nel frattempo, la Gallia veniva tormentata da uno dei suoi mali periodici, l'esplosione del fenomeno dei Bagaudi. Chi erano i Bagaudi? Non c'è una risposta chiara a questa domanda, visto che il fenomeno è complesso e si ripresenta a fasi alterne sia in Gallia che in altre parti dell'impero durante diversi secoli. In parole semplici i Bagaudi erano dei briganti: direi che l'analogia più semplice, anche se non del tutto corretta, è con il brigantaggio nel mezzogiorno in seguito all'unificazione italiana. L'Impero Romano era uno stato con enormi, direi scioccanti, livelli di iniquità sociale: molto superiori ai tempi moderni ma perfino all'Europa preindustriale. l'impero era infatti al servizio di una piccola cricca di proprietari terrieri che monopolizzava la ricchezza, le terre e le rendite. Oltre a questa manciata di famiglie che vivevano in un lusso incomprensibile ai più esisteva una limitata classe media di cittadini e un vastissimo mondo agricolo alle dipendenze della suddetta cricca di proprietari terrieri: nel quarto secolo oramai la differenza tra i coloni liberi e gli schiavi si era molto ridotta, e non perché la condizione degli schiavi fosse migliorata.
Quando l'impero era in pace e vigeva l'ordine costituito i nullatenenti del mondo contadino se ne stavano buoni sotto il giogo imperiale, a lavorare le terre dei padroni pagandoli con il proprio lavoro o con l'affitto. Quando invece l'ordine pubblico era in dubbio, vuoi durante periodi di guerre civili o di invasione da parte dei barbari, i nullatenenti delle campagne avevano la possibilità e spesso la necessità di sfuggire al giogo dei loro padroni, sia perché non tolleravano il loro stato sia perché lo scombussolamento prodotto dalla guerra aveva distrutto la loro fonte di sostentamento. Magari il loro padrone era morto e la grande fattoria era stata distrutta, oppure gli eserciti romani o barbarici avevano messo a ferro e fuoco la povera terra che coltivavano. Sta di fatto che questi uomini disperati si raggruppavano in bande che si dedicavano al brigantaggio e a volte perfino alla resistenza politica all'oppressione del regime imperiale. Gli storici romani chiamano ogni volta questi gruppi “Bagaudi” senza fare distinzioni di sorta e associando fenomeni diversi tra loro. I Bagaudi erano emersi inizialmente durante il caos della crisi del terzo secolo e continuarono a riemergere periodicamente ogni volta che il pugno di ferro del regime imperiale si indeboliva in Gallia.